Articolo pubblicato da Mototurismo – N. 117 – Febbraio 2004
VOGLIA DI RICOMINCIARE
Chi ha progettato le gallerie della superstrada che collega Lecco a Colico deve avere pensato solo ad una strada ad alto scorrimento, che in breve tempo consentisse di arrivare da Milano alle famose località sciistiche in Valtellina e in Valchiavenna.
Per chi le percorre in moto, invece, sono un vero incubo: buchi neri poco illuminati, ambienti saturi di gas di scarico delle auto, macchie di umidità sul fondo stradale anche nei periodi di siccità. Percorrerle alla velocità di 120 km/h, sono interminabili oltre che pericolose. Di tanto in tanto, all’uscita di un tunnel, flash di rara bellezza ti catapultano in un altro mondo e ti portano in una delle località più belle del mondo: Il Lario con la sua cornice di montagne.
E’ un sabato di settembre, fa ancora abbastanza caldo, la giornata è propizia per un giro in moto.
Poi non è un giorno qualunque. Oggi è il “D-day”, il giorno in cui ricomincio ad andare in moto dopo quasi tre mesi di inattività.
Il ventidue giugno, domenica, era una splendida giornata. Il cielo era azzurro intenso e superata la dogana svizzera di Villa di Chiavenna, l’aria si era fatta più fresca.
Ero il primo di cinque motociclisti, l’andatura era brillante, conosco benissimo la strada, non ci sono ostacoli, l’asfalto è perfetto, le curve magnifiche. La mia moto, una Ktm LC 8 Adventure, è davvero entusiasmante. Ha cavalli da vendere, tanta coppia, una buona ciclistica e percorrere queste strade di montagna è veramente divertente. Andavo forte, con andatura sicura, non certo per dimostrare di essere più bravo, ma spinto da quella forza interiore che è la passione per la moto. Improvvisamente: un ostacolo!
Una vettura di piccola cilindrata con un’andatura “incredibilmente” lenta, lentissima, tanto da stare dietro a due ciclisti in salita, si materializza dietro una curva, si sposta a sinistra e mi chiude la traiettoria buona per la curva seguente.
Ho solo due possibilità: sorpassare alla cieca sperando nella buona sorte, oppure frenare. Mi attacco ai freni, lo spazio c’è, ma inesorabilmente cado. E’ solo una frazione di secondi, ma dura un’eternità. Cerco di appoggiare la mano destra sull’asfalto, niente, batto violentemente.
Mi rialzo d’istinto, sembra tutto a posto, purtroppo mi accorgo che il braccio destro è completamente rovesciato all’indietro. Sicuramente l’omero è fratturato. In pochi secondi metto a fuoco la situazione. E’ il 22/6, se va tutto bene mi ingesseranno per 30 giorni, cioè fino al 22/7. Impossibile partire il 30/7 per Samarcanda.
Caro Tawil ti sei appena “giocato” le vacanze di agosto. Un viaggio in moto di 10.000 chilometri attraverso la Turchia, l’Iran, il Turkmenistan, l’Uzbekistan, l’Azerbaijan, la Georgia e l’Armenia completamente organizzato, bruciato in pochi secondi.
La tristezza si abbatte su di me come una mannaia, il dolore allucinante della frattura mi riporta alla realtà.
Non è stato facile. Sono stato operato. Adesso ho un bel chiodo tecnologico di 33 cm. in titanio infilato nel braccio. La riabilitazione è stata lunga e dolorosa. Ma sono ancora qui: E con tanta voglia di andare in moto!!!
Fin’ora ho fatto dei giri di pochi chilometri, ma questa è la prima vera uscita.
Caro Tawil: Perché non ricominci dove avevi bruscamente interrotto?
Perfetto!
Sono di nuovo sulla strada che da Chiavenna porta verso l’Engadina, in Svizzera.
Destinazione?
Non so…direi verso Nord. Inutile avere una destinazione precisa, una città per esempio, mi sembra limitativo. Ho sempre pensato che un viaggio non si limita al raggiungimento di una meta.
Un viaggio è: “viaggiare”. Godersi ogni momento, ogni emozione che la moto ti trasmette.
La moto. E’ sempre la moto che rappresenta il centro dell’universo per noi motociclisti.
Siamo un grande popolo, formato da diverse tribù.
Ogni tribù ha le sue regole:
La tribù dei “customs” con moto “lunghe” e luccicanti, gli scarichi rumorosi e quei manubri larghi e alti, dove il pilota più che guidare è appeso.
La tribù degli sportivi con motori potentissimi, manubri bassi, gomme e scarichi racing, tute colorate da gran premio.
La tribù dei mototuristi, quella con le moto tipo la Goldwing per intenderci, con radio e cd, bandierine, selle comodissime, retromarcia, borse e bauletti.
La tribù degli enduristi, la mia, che preferiscono viaggi itineranti stradali, ma che non disdegnano gli sterrrati.
La tribù dei crossisti, con moto leggere, sempre infangate, gomme tassellate.
Poi, quasi mi dimenticavo, di una nuova tribù, quella degli scooteristi sempre più numerosi.
E per finire, la tribù del “Grande Nord”, che comprende tutti i motociclisti oltralpe. I tedeschi mi hanno sempre impressionato. Arrivano da un paese dove per 8 mesi all’anno fa un freddo cane, nevica, eppure li puoi trovare ovunque nel mondo. Riconoscibili anche da lontano con i loro voluminosi bagagli di ottima fattura e molto tecnici, tipo borse in alluminio e sacche stagne. Anche in tempi lontani e pionieristici, negli anni 80 in Yugoslavia, per esempio, in sella alla mia Honda Bol d’or 900 CB con una giacca svolazzante, incontrai un quarantenne di Francoforte con una Laverda che mi confidò: “ Come fai a viaggiare senza una tuta di pelle?- Io alcune volte non me la tolgo neppure quando vado a dormire”.
Alla fine, tutte le tribù che formano il popolo dei motociclisti hanno la stessa passione: La moto.
Questo mezzo meccanico che sa trasmettere emozioni che nessun altro mezzo sa dare, che cos’è? Tawil risponderebbe: “Non saprei, mi piacerebbe paragonarla ad un cavallo”. Sicuramente è un mezzo che trasmette Al pilota, nella sua posizione dominante, il senso della LIBERTA’.
Ha cuore (il motore), testa (il manubrio), gambe (le ruote), occhi (fanali), cervello (centralina elettronica) e anima.
L’anima non sai mai se sta dentro di te o dentro la moto, secondo me più grande è il feeling che si instaura tra il pilota ed il mezzo, più grande è la possibilità di trovare l’anima.
Per questo motivo ho scelto una Ktm e non una Goldwing. E per lo stesso motivo chi ha scelto la Goldwing, ed ha un ottimo feeling con lei, non ha scelto una Ktm.
Alla fine tutti amiamo la moto che ci siamo scelti. Forse perché ci fa sognare o semplicemente perché ci riempie la testa di pensieri, sempre positivi.
Senza accorgermi ho passato il tratto di strada maledetto, che mi è costato tanta fatica e tanto dolore. Avevo deciso di fermarmi, un po’ come nei film gialli dove l’assassino torna sul luogo del delitto. Sono tentato di tornare indietro, poi ci ripenso; vuol dire che il mio cervello ha già rimosso la cosa.
Inizia la salita del “Maloja”, una strada molto ripida e tortuosa, che in pochi chilometri mi porta in Engadina. E’ uno strano posto. Quando arrivi in cima, trovi un altopiano con un lago straordinario. E’ quasi un paesaggio irreale, di quelli che si vedono solo nei film di fantascienza, troppo perfetto per essere vero: acque cristalline, prati verdissimi molto curati, boschi da fiaba, mucche al pascolo, cavalli con la criniera svolazzante nei recinti e vette che si specchiano nel lago. C’e un vento freddo che arriva da Nord e la temperatura è bassa per la stagione, per fortuna ho infilato nello zaino un pile, lo indosso e mi sento subito meglio.
Superato San Moritz, sono indeciso se salire al passo Bernina con i suoi 2330 metri, o andare a Nord.
Decido di “puntare” su Zermez, la settimana scorsa in alta montagna è nevicato e non vorrei trovare la Forcola di Livigno chiusa, sarebbe un problema, perché dovrei ritornare indietro fino a Tirano e poi passare per lo Stelvio. Arrivato a Zermez, seguo le indicazioni per Merano. Conosco bene questa strada, attraversa un parco nazionale svizzero incantevole. La strada, molto agevole e curata, sale fino all’ Ofenpass (2155 mt). Ascolto il motore della mia moto; non fa nessuna fatica.
Ho sempre ascoltato non senza preoccupazioni le “invocazioni” dei motori. Con la mia Ktm 640 Adventure , per esempio, in Libia rimasi sorpreso positivamente dal boato della benzina rossa super a 100 ottani di Geddafi: la moto “volava”. Con la stessa moto sui passi Pakistani e Andini, invece, erano veri e propri lamenti con le benzine povere a 85 ottani. In Iran, il propulsore della mia Bmw R 80 GS Paris/Dakar 86 assomigliava più ad un frullatore che ad un motore. Divorava qualsiasi tipo di carburante, senza fiatare.
A proposito di questa mia compagna di viaggio, penso valga la pena di raccontare la sua storia.
Ero appena tornato da un viaggio in Marocco con una Bmw K 100 RS. Tutto era filato liscio, a parte un mal di schiena feroce che non mi abbandonò per alcuni mesi.
Decisi di acquistare una moto più indicata per quel tipo di viaggio. Più che comprarla, fu la moto che mi adottò: ero ospite di alcuni amici di Bassano del Grappa e per caso entrammo in un concessionario moto della zona. Il titolare mi disse: “L’ho appena ritirata, non ho nessuna voglia di venderla”. Risposi: “Ed io nessuna voglia di comprarla”.
Passarono alcuni giorni, avevo in mente un viaggio in Iran. Telefonai al mio amico Giovanni di Bassano e gli chiesi: “mi piacerebbe acquistare la R 80 GS per fare un viaggio”. Dopo un’ora mi telefonò e mi disse: “E’ tua”, ho lasciato un assegno a garanzia, la puoi ritirare quando vuoi.
Arrivai a Bassano in treno, ritirai la moto, e partii verso casa. La prima impressione era di essere alla guida di una moto superata: il motore non era molto potente, anche se molto elastico; in accelerazione il telaio fletteva paurosamente; l’ammortizzatore posteriore andava a fine corsa, il cambio era “gommoso” e, soprattutto, un solo freno a disco anteriore e un vecchio freno a tamburo posteriore potevano rallentarne la corsa, ma non fermarla!
Dopo un centinaio di chilometri però, incominciai ad amarla. Forse per la posizione di guida, o per tutta l’aria che mi arrivava addosso, insomma c’era un grande feeling.
Dopo varie modifiche alle sospensioni ed ai freni, partii per un viaggio impegnativo in Iran, carico di bagagli e con un po’ di apprensione. Arrivavo negli hotel nel tardo pomeriggio e prima di “abbandonarla” nel parcheggio parlavo un po’ con “lei”. Controllavo tutti i livelli e “le” chiedevo: “Mi riporterai a casa?” Lei non mi rispondeva, ma capiva e anch’io capii giorno dopo giorno che non mi avrebbe mai mollato. Ho fatto diversi viaggi in Asia ed in Africa con quella moto ed ho percorso quasi 90.000 chilometri senza inconvenienti. La vendetti con rammarico. L’unica consolazione fu che la comprò un giornalista con una grande passione per quel modello. Mi disse: “Io non voglio una moto, voglio una BMW R 80 GS Paris/Dakar 86”. E me la portò via.
Da allora ho sempre “ascoltato” la moto, ed ora scendendo a valle il mio propulsore respira ed anche l’aria finalmente si scalda un po’.
Oltrepasso il villaggio caratteristico di Mustair e la dogana svizzera, rientro in Italia. Faccio una breve sosta a Glorenza per visitare la città. Finalmente, seduto in un bar nella piazza principale, mi ristoro con un ottimo panino integrale con spek e formaggio. E’ tardi, ormai sono le cinque, come sempre in moto il tempo vola. Decido di superare Merano e di evitare il passo Giovo (Jaufenpass 2094 mt) che porta a Vipiteno, perché parecchie nuvole scure minacciano pioggia. Mi dirigo verso Bolzano imboccando un’agevole superstrada circondata da piantagioni di mele pronte per essere colte.
Superato Bolzano, seguo le indicazioni per la valle d’Ega. Impressionante la stretta salita in una gola di roccia a picco ricoperta da una fitta rete metallica che protegge dalle frane. La salita è ripida ed il paesaggio è fiabesco. E’ sera, vado un po’ a naso e punto sulla cima di un monte che si chiama: Obereggen. Mi fermo in una Gasthaus e vengo accolto molto cordialmente. Il gestore mi informa che la cena è pronta. Da queste parti si cena alle sette precise. Entro in una saletta tipica e mi viene servito un piatto “tipico”: “Spaketti alla Karbonara”.
All’alba riparto, la temperatura è bassa e la giornata è fantastica. Scendo a valle e salgo verso il passo di Lavaze (1815 mt); che mi riporta nell’area “Italiana”.
Punto decisamente sulla val di Fassa verso Predazzo, Moena , Vigo. Arrivo a Canazei, la strada si divide: da una parte il passo Sella, dall’altra il passo Pordoi. Scelgo la seconda, una strada piena di ricordi. La prima volta che passai da queste parti avevo dieci anni, ero con mio padre, che alla guida di una Fiat 750 cc colore avorio e con le portiere controvento mi fece conoscere le Dolomiti.
La salita che porta al passo è fantastica; lungo il percorso incontro centinaia di moto. Arrivato in cima la veduta è mozzafiato, poi mi aspetta una lunga discesa fino ad Arabba di Livinallongo e lungo la Grande Strada delle Dolomiti arrivo a Pieve, poi di nuovo una salita in direzione del passo del Falzarego. Meravigliosa la vista sulle Tofane. E’ solo una volata, tutta in discesa, quella che mi separa da Cortina d’Ampezzo, meta turistica estiva ed invernale. Da Cortina salgo al passo Tre croci e proseguo per il lago Misurina.
Mi rendo conto di essere in uno dei posti più belli del mondo. Unico neo: migliaia di turisti ovunque.
Sono quasi le quattro del pomeriggio ed anche questa domenica di settembre è volata via. Devo rientrare. Scendo a valle in direzione di Auronzo, poi Pieve di Cadore, Belluno. Alla fine imbocco una triste e noiosa autostrada, che in poco più di 300 chilometri mi riporterà a casa e ripenso al viaggio che sta terminando.
Non avevo una meta precisa, volevo solo fare un giro in moto. La voglia di andare in moto è più che sufficiente per intraprendere un viaggio. Il viaggio è soprattutto dentro di noi, non importa dove e con chi, la cosa più importante è quella di essere sereni e godere fino in fondo della gioia e del senso di libertà che trasmette la moto.
E’ l’ultima curva, poi a casa. E’ tardi, mi viene in mente Marzullo nel suo programma delle due di notte che prima di concludere chiede al suo ospite: Si faccia una domanda e si dia una risposta.
La domanda: Preferisci una cena con Naomi Campbell oppure un giro in moto?
La risposta: Lasciamo perdere la cena, preferisco un giro in moto…con Naomi Campbell.