La Strada del Cuore

La strada del cuore

 

Se qualcuno mi chiedesse: “preferisci l’Erg di Awbari, gli spazi infiniti, l’aria tersa e frizzante del deserto libico nelle mattine d’inverno o il caldo soffocante della foresta pluviale amazzonica carica di umidità? Trovi più interessante le granitiche  vette pakistane della Karakorum Highway, scure e ruvudi come la polvere da sparo o la magia di Sanaa, capitale yemenita, avvolta nella penombra della sera  illuminata solo dalle sue incredibili finestre colorate e popolata da donne fantasma completamente vestite di nero? Ti piace di più percorrere le piste di terra rossa della savana etiope, le Yungas  boliviane, oppure scoprire i colori, gli odori pungenti e le facce dell’India? Apprezzi maggiormente i tramonti di Luxor, Abu Simbel e i polveroni delle strade egiziane in agosto oppure i monasteri del Tibet?
Francamente non saprei cosa rispondere.
Sono tutti viaggi, strade, che hanno segnato la mia vita. Le loro immagini sono impresse nella mia mente. Le emozioni conficcate nel mio cuore. Emozioni che hanno portato la mia frequenza cardiaca in alto. Come un motore che entra in coppia e la lancetta del contagiri raggiunge la zona rossa. Un bell’andare.
Ma c’è un viaggio, una strada, che ha portato il mio cuore oltre la zona rossa, completamente fuori giri e senza controllo.
Ero il fortunato possessore di una grigia BMW K 100 RS. Insieme avevamo percorso più di ventimila chilometri in Italia e all’estero.  L’estate era scoppiata come una camera d’aria gonfiata a venti atmosfere, quando conobbi una giovane e avvenente ragazza. L’amore era sbocciato all’improvviso, a prima vista, complice forse il caldo che dà alla testa e la passione di entrambi per la motocicletta.   Mi presentavo davanti a casa sua, per il “solito” giro in moto, sempre bardato da vero motociclista, per intenderci con una giacca Belstaff spalmata di grasso, guanti in pelle, jeans e casco.  Lei, sempre in ritardo, quando appariva sulla soglia del portone di casa, faceva ululare tutti i “lupi” del quartiere. Minigonna inguinale, tacco a spillo da dodici centimetri e giubbotto di pelle nera così aperto e scollato, da mettere in bella mostra il suo seno bianco latte, prosperoso, birichino e intrigante. Aveva l’abitudine di non indossare la biancheria intima. Ne sotto ne sopra. Sopra, era perfetto, ma sotto… Il “Triangolo d’Oro” come si usava in  quegli anni, oltre che folto era di notevoli dimensioni. Non era neanche un lontano parente di quello delle “Barbie” di oggi, che taglia, radi e scolpisci l’hanno ridotto quasi in fin di vita, fino a farlo scomparire.  Era un’impresa farla salire e scendere dalla moto, mentre durante il tragitto tutto filava liscio. Gli “spettatori” delle auto che incontravamo, guardavano con libidine le sue splendide gambe, ma non potevano neanche immaginare del tesoro nascosto. Solo io sapevo. Io e la foderina nera in finta pelle della sella. La strada del “batticuore” era quella che conduceva verso Como e il suo lago, che  da lì a qualche anno avrebbe fatto innamorare anche George Clooney, distante ben venti chilometri. Altre volte, spesso, il viaggio durava di meno perché, eravamo come ossigeno e idrogeno: divisi due semplici elementi, insieme una miscela esplosiva! Niente di particolare. Folle amore e…sesso. Tanto sesso! La moto, che aveva un cavalletto robusto, qualche volta era la nostra garconniere. Altre volte, invece, assisteva “lampeggiando” alle nostre performance con complicità. La mia compagna, una femmina che ogni uomo dovrebbe incontrare almeno una volta nella vita, era nata per il piacere. Dare piacere e provare piacere nel darlo. Semplice e straordinario! La nostra storia durò per tutta l’estate. Una lunga, lunghissima, indimenticabile estate calda. Qualche anno più tardi, dopo aver percorso quasi centomila chilometri,  misi la moto in vendita. Mentre la guardavo parcheggiata in cortile, aspettando un milanese che da lì a qualche minuto me l’avrebbe portata via, un pensiero attanagliava la mia mente.  Non avrei più rivisto la moto e la cosa mi rattristava. Avrei voluto tenermi qualcosa di Lei che potesse tenere vivo il suo ricordo per sempre. Fu così che, senza esitare: staccai la foderina della sella!

Walter Ramperti in breve

Nacqui il 27 giugno del 1956 subito dopo pranzo. Pesavo quasi cinque chili. Al mio primo vagito, Bill e Fiorello i due cani del cortile che se ne stavano acquattati sotto il letto della mamma, fuggirono disorientati. In tutta la mia vita, la magia di spaventare due esseri viventi, non mi riuscirà più.

A cinque anni il primo giro in motocicletta a cavalcioni sul serbatoio della Morini di mio nonno Enrico.

A quattordici anni entrai nella schiera dei centauri su un Cimatti “Chic” 48 cc che non andava neanche a spingerlo.

A vent’anni la frase che cambierà la mia vita. Frequentavo un vecchio locale di Milano di cui non ricordo il nome, soprannominato Stalingrado. Nella latrina degli uomini, in alto, sul muro, troneggiava una scritta: “Viva la Foca che Dio la Benedoca!”

La prima vera moto a venticinque anni: una Honda Bol d’Or di seconda mano. Mio padre commentò: “Ricordati che la differenza tra un’automobile e una motocicletta è che la moto non sta in piedi da sola”.

Nel 1981 il primo viaggio in Grecia, via Jugoslavia. Parto con la moto carica come un somaro. Al casello di Milano Nord, percorsi solo trenta chilometri, faccio dietro front e scarico la metà dei bagagli.

A trentadue anni arriva la prima, di tante Bmw, una K 100 RS! Numerosi viaggi in Europa. Una volata solitaria in Marocco con il sibilo della pompa della benzina nelle orecchie che non mi abbandonerà per l’eternità. Il Marocco sarà il passpartout che mi aprirà le porte per il mondo.

1999 – 2000. Inizio del nuovo millennio: L’illuminazione!
Mentre percorro a venti chilometri orari la pista sabbiosa di Hsar Ghilane in Tunisia, in sella a una meravigliosa Bmw 1100 GS, una freccia arancio con pilota e passeggera mi sorpassa alla velocità della luce. Raggiungo il “missile”. Si erano fermati al “cafè du desert”! Rientro in italia e acquisto la prima, di tante Ktm.

Sempre nel 2000 rischio l’incontro con il Creatore.
Sono a Chitral – Pakistan – a due passi dal confine Afgano.
Viaggio in solitaria. Bevo acqua contaminata. Tre giorni di delirio con quarantadue di febbre. Poi nel delirio uno scorpione nero mi annuncia: “se non te ne vai morirai!” Parto nonostante la febbre altissima. Dodici ore di moto con in tasca una mela mezza smozzicata e un flacone di novalgina. Arrivo ad Islamabad. Magro come il Mahatma Ghandi…ma vivo.
2001 – Agosto – Deserto Mauritano.
Compagno di merende: Ciocio Cavallo, a “cavallo” di una Bmw 1150 GS. Macchina di appoggio: una Volvo Polar bianca di un tale che voleva raggiungere il Senegal. Mezzogiorno di fuoco! Cinquantadue gradi all’ombra, ma di ombra non ce né. Tanta Sabbia. La Volvo sprofonda ogni sette passi e ci fa sudare Sette Camicie (che guarda caso è il soprannome del pilota della Volvo). Siamo paonazzi oltre che disperati. Poi, un miraggio, anzi un miracolo. Ai piedi di una duna enorme c’è una baracca di Mauri che vende lattine di Cocacola. Yeaaaah!

2002 – Mi viene detta più grande “Palla” raccontata da un  motociclista.
Il suo nome è Claudio Falanga, giornalista, grande motociclista, amico, fratello e collega che mi dice: “Faremo presto un viaggio insieme io e te”.

2004 – “Alla fine anche l’anima se vorrà conoscere se stessa dovrà guardare nell’anima”.
Lascio il focolare domestico. Dopo undici mila chilometri intensi mi fermo davanti a un grande cartello stradale: WELCOME TO LHASA!

2008 – On the road again forever!
Continuano le frequentazioni con l’amico Claudio Falanga: “Faremo presto un viaggio insieme io e te”.  Aspetto ancora …