Thailandia e Laos

Articolo pubblicato da Mototurismo – N. 204 – Ottobre 2012

Un viaggio in Thailandia e Laos.

Due paesi, un unico popolo gentile. Un “Benvenuto”, un sorriso a mani giunte con inchino: Sabaidee!

Adoro Bangkok. Non c’è un vero e proprio motivo. Mi piace e basta. La prima volta che la visitai, più di trent’anni fa, a dire il vero mi aveva spaventato. Non ero pronto ad una città così caotica e inquinata e ne ignoravo le potenzialità. Era lo stereotipo dell’afa. Il caldo e l’umidità ti assalivano appena aprivano le porte dell’aereo. Terribile. Con il passare del tempo ho avuto la sensazione, sempre più forte, che questa città mi chiamasse a sé, i miei viaggi la incrociavano spesso ed incominciò a piacermi.
Bangkok trasmette in ogni momento tutto il fascino dell’oriente. Ti senti intrappolato come in un’appiccicosa ragnatela alla mercé di un ragno vorace che potrebbe sbranarti in qualsiasi momento, ma nello stesso tempo hai la possibilità di muoverti e di godere della grazia e della gentilezza dei suoi abitanti. Un piacere senza tempo, che si alimenta di sorrisi e di inchini a mani giunte. Piccoli gesti spontanei che hanno un enorme impatto sulla qualità della vita. Vita, che scorre lenta come le acque fangose del Chao Praya, il fiume che la attraversa.
Non mi sono mai fermato per più di tre giorni di seguito in questa città, ma ogni volta che ci torno ho come l’impressione di averci trascorso tutta un’esistenza. Ha qualcosa di familiare. Un’alchimia che si ripete ed io la amo senza riserve.
E’ la prima volta che sbarco nel nuovo aeroporto. Più grande, più elegante e raffinato, ma le abitudini sono le stesse. Puoi scegliere di prenotare un taxi prima dell’uscita in un ufficio dove una ragazza gentile ti proporrà un’auto di lusso ad un prezzo elevato oppure chiedere ad un chiosco sul marciapiede dove sempre una ragazza gentile, è una costante da queste parti, ti proporrà un taxi più piccolo ed economico.
Gianni, Barbara ed io, abbiamo prenotato l’albergo dall’Italia, anzi a dire il vero il piccolo hotel è stato consigliato da un amico italiano che risiede a Bangkok da tempo. Il tassista, anche se conosce molto bene la zona, non ha idea di dove sia il Mango Lagoon Hotel. L’alloggio, nel cuore pulsante della città, è in una strada chiusa ai veicoli a motore. La camera tripla, spartana, ma con ogni confort dal costo di venti euro è raggiungibile solo a piedi e sarà il nostro rifugio per la notte.
Il destino vuole, che questa volta, l’amata Bangkok sia solo la base di partenza per raggiungere il confine con il Laos. Spostarsi in Tailandia è facile ed è un gioco da ragazzi affittare una taxi con autista che, in tre giorni ci scorrazzi nel Nord del paese.
Vale la pena di visitare Ayutthaya, Sukhothai, Chiam Mai e Chiang Rai, luoghi molto interessanti, che sono sulla nostra rotta per il Laos.
Ayutthaya, a soli settanta chilometri da Bangkok, fu l’antica capitale del Siam, l’attuale Thailandia. Dominò l’area per più di quattrocento anni tra il XIII e il XVII secolo fino ad essere conquistata e distrutta dai birmani. Sul sito oggi in rovina svetta il Wat Phra Sri Sanphet, il tempio più grande composto da tre grandi stupa (monumenti buddhisti).
Di ben altro livello è lo straordinario Parco storico di Sukhothai, circondato da mura di circa due chilometri per lato, che racchiude le rovine del palazzo reale e di ventisei templi.
Ci lasciamo alle spalle i due siti protetti dall’UNESCO per raggiungere nella zona montagnosa del paese Chiang Mai, situata sulle rive del fiume Ping, un affluente del Chao Praya. Abbiamo percorso più di settecento chilometri dalla capitale Thailandese. Ancora più a Nord facciamo una sosta nella tranquilla cittadina di Chiang Rai. Siamo nel famosissimo Triangolo d’Oro, molto vicini al confine con il Laos e la Birmania, anche la Cina è a soli centoquaranta chilometri.
In poco meno di due ore il nostro amico tassista ci accompagna fino a Chiang Khong dove il fiume Mekong separa la Thailandia dal Laos. Le pratiche burocratiche per lasciare il paese sono veloci, altrettanto la piccola imbarcazione che, caricati bagagli e persone, dopo aver attraversato il fiume color fango, ci deposita sulla sponda laotiana nella cittadina di Huay Xay.
I mezzi di trasporto in Laos sono di vario genere. Si passa dai confortevoli autobus ai taxi privati, dalle veloci imbarcazioni agli scassatissimi tuk-tuk, dalle biciclette di fabbricazione cinese alle motociclette giapponesi. Noi abbiamo scelto di viaggiare, dove sarà possibile, in moto.
Le strade nel Laos sono buone anche se, spesso l’asfalto finisce improvvisamente e lascia il posto ad uno sterrato polveroso e pieno di buche. Non c’è molto traffico e la gente è così rilassata che viene la voglia di stare in questo paese tutta la vita.
Abbiamo trovato con qualche difficoltà, vista la scarsa disponibilità, due moto di piccola cilindrata. Con queste minuscole Honda da 125 cc tenteremo di raggiungere le minoranze etniche che vivono nel Nord del paese. Luang Namtha è un agglomerato di villaggi che si estende per una decina di chilometri dove non mancano Guesthouse, internet caffè, bar, agenzie di viaggi ed ogni confort. Decidiamo di spingerci verso Muang Sing distante una sessantina di chilometri. La strada che attraversa il Parco Nazionale di Nam Ha si snoda tra versanti scoscesi ampiamente disboscati per dare spazio alle piantagioni di alberi della gomma a tratti di vera foresta primaria ancora intatta. A metà strada facciamo una breve sosta alla cascata di Phagneung Phoukulom. Muang Sing è adagiata nell’ampia pianura fluviale di Nam La. Passiamo la notte in una Guesthouse gestita da una giovane e simpatica donna tuttofare che, oltre a badare agli alloggi, vale a dire capanne arieggiate con il tetto di paglia ed alla cucina si diletta in massaggi tradizionali che sono un vero e proprio toccasana per le nostre schiene distrutte. Se fino a una decina di anni fa Muang Sing era nota per essere un paradiso per la produzione dell’oppio, oggi è il punto d’incontro per le etnie minoritarie del Laos. Il luogo è una grande piana fertile che confina con la Birmania e lo Yunnan, la provincia del Sud cinese dalla quale gli antenati di queste genti sono emigrati. E’ da queste parti che vivono i Tai Lu, i Tai Dam, gli Akha, i combattenti Hmong e i pochi Yao rimasti. I loro villaggi sono facilmente raggiungibili con le nostre agili motociclette. Appena la fitta nebbia del mattino si dirada, l’escursione termica in questa stagione è notevole, con un colpo di fortuna riusciamo a scovare un villaggio Yao e ad entrare in contatto con alcune anziane avvolte nei loro abiti tradizionali composti dal costume blu, il turbante nero e la coloratissima sciarpa rossa. Il tempo sembra si sia fermato davanti a queste donne affascinanti ancora solidamente legate ai ritmi della terra. Abbiamo anche un animato incontro con uno sciame di bambini che escono dalla scuola per tornare a casa che si prestano volentieri ai nostri scatti fotografici.
Verso l’ora di pranzo la foschia e l’umidità abbandonano completamente la scena per lasciare il posto a un caldo sole e a temperature intorno ai venticinque gradi. Seguiamo uno sterrato fantastico che ben presto si trasforma in un sentiero impervio che si perde nella selva. I nostri GPS indicano la direzione “giusta”, vale a dire il nostro alloggio, ma non tengono conto dell’invalicabile confine birmano che ci sbarra la strada. Viene in nostro soccorso un esile cacciatore, incontrato lungo la via, armato di un fucile tanto bizzarro quanto sproporzionato nella lunghezza della canna che ci indica la strada per Muang Sing.
Lasciamo questo posto incantato e ci spostiamo verso il confine vietnamita in una cittadina dal nome impronunciabile piena zeppa di cinesi. E’ il 24 dicembre. Per la cena di Natale abbiamo “prenotato” un ristorante che prepara solo piatti della cucina tradizionale laotiana gestito da una signora tuttofare che spadella, regge un bambino piagnone sulle spalle e tiene a distanza tre gatti affamati. Il cibo per i due tavoli e di tavoli ne ha solo due è ottimo. Il manzo essiccato ed affumicato su un bidone di lamiera che in tempi non lontani doveva contenere gasolio è squisito come il riso con le verdure ed il porco cotto con il bambù piccante.
Lungo la via che conduce verso il distretto di Muang Ngoi incontriamo una coppia di motociclisti inglesi. I due ragazzi hanno acquistato da un meccanico di Vientiane per soli duecento euro una scassatissima ma affascinante motocicletta di fabbricazione cinese che li accompagnerà per tutto il Laos prima di essere rivenduta allo stesso meccanico a cento euro. Un vero affare!
Questa zona estremamente spettacolare è caratterizzata da una maestosa catena di montagne rocciose che si innalzano dalle acque cristalline del fiume Nam Ou e dalla placida cittadina di Nong Khiaw.
A questo punto abbiamo due alternative: continuare il nostro viaggio con un tranquillo spostamento in motocicletta oppure raggiungere Luang Prabang con un’avventuroso tragitto in barca. Decidiamo di seguire la seconda opzione. Il viaggio segue la corrente dell’impetuoso Nan Ou per più di cinque ore e del maestoso Mekong per altre due. Le agili imbarcazioni lunghe fino a dieci metri portano nei periodi di maggior affluenza turistica anche una ventina di persone. La navigazione non priva di emozioni alterna tratti dove le rapide sono mozzafiato a momenti in cui l’acqua è così scarsa da costringerci a lunghe scarpinate lungo il greto del fiume per alleggerire la barca.
Raggiungiamo Luang Prabang al tramonto. La città fu la capitale del regno del Laos fino alla salita al potere dei comunisti nel 1975.
Pur non essendo ricca di luoghi di interesse di richiamo internazionale Luang Prabang è pervasa da un fascino particolare che la rende unica. Il luogo ideale per rilassarsi lungo i viali che fiancheggiamo il Mekong tra il profumo dei frangipani di colore bianco, azzurro e giallo e il profumo del caffè, tra i templi color oro e rosso che si incendiano al tramonto e i monaci dalle lunghe tuniche arancioni che fluttuano lungo le vie del centro storico. Per entrare in contatto con la spiritualità di questa città è preferibile alzarsi prima dell’alba per l’incontro con i monaci che ogni mattina escono in processione per la raccolta delle offerte delle persone caritatevoli che depongono porzioni di riso glutinoso nelle ciotole usate per chiedere l’elemosina. Si tratta di una pratica svolta nel silenzio e nella meditazione, attraverso la quale i monaci dimostrano i loro voti di povertà e umiltà. Purtroppo i turisti sono molto più numerosi dei monaci e nonostante i consigli dei tanti avvisi appesi ad ogni angolo di strada che invitano i “visitatori” a non fare uso del flash ed a mantenere una certa distanza dal corteo, invadono e contaminano le strade con la loro presenza.
Lasciamo la “silenziosa” processione dei monaci avvolta nella foschia mattutina del Mekong per un’escursione con le nostre rombanti motociclette nella vasta e lussureggiante area che circonda l’ex capitale del regno.
Dopo pochi chilometri raggiungiamo l’imbarcadero per le cascate di Kuang Si dove una piccola imbarcazione ci consente di attraversare il fiume. Le cascate, visitabili anche a dorso di elefante, sono modeste, ma molto gradevoli e rinfrescanti nelle calde ore pomeridiane. Durante il tragitto di ritorno facciamo una sosta ad una festa campestre dove veniamo accolti con curiosità e calore. Ad un certo punto siamo anche invitati alle danze e ad assaggiare alcune prelibatezze locali come le fritture di scarafaggi e larve.
La cucina laotiana è molto interessante. Nei rinomati ristoranti di Luang Prabang si possono gustare le onnipresenti salsicce locali e una zuppa preparata con carne, funghi e melanzane con l’aggiunta di speciali trucioli di legno, da non inghiottire, dal sapore amaro e piccante. Un altro piatto particolare è il Khai Paen, un’alga scura del Mekong che viene tagliata in pezzi quadrati, fritta in olio aromatizzato, guarnita con semi di sesamo e servita con una salsa dalla consistenza simile ad una marmellata dal gusto dolce e piccante preparata con peperoncino e pelle di bufalo essiccato. Il mio piatto preferito invece è il Laap un’insalata arricchita con erbe fresche, peperoncino, riso tostato e polverizzato e succo di lime.
Per le bevande, a parte qualche rara bottiglia di vino d’importazione, è disponibile l’ottima e unica birra prodotta nel Laos, considerata la bevanda nazionale, la Beerlao.
La Route 13 fino a Vang Vieng è davvero spettacolare. La strada segue un percorso tortuoso tra montagne ammantate di foreste e punteggiate dalle semplici abitazioni di legno della popolazione indigena. Il Laos è un paradiso. Il “paradiso” più bombardato della storia dell’umanità. L’orribile fatto risale alla guerra d’Indocina. L’aerea più colpita fu la provincia di Xieng Khuang, quella che confina con il Nord del Vietnam, dove ancora oggi rimangono molti residuati bellici. Molti di questi sono inesplosi e potenzialmente letali. Ci sono bombe al fosforo bianco, proiettili di mortai e ordigni di vario genere. Tra i più rischiosi ci sono le “famose” bombe a grappolo, involucri metallici della lunghezza di un metro e mezzo progettati in modo da aprirsi longitudinalmente dopo il lancio, rilasciando seicentosettanta bombe delle dimensioni di una pallina da tennis su una superficie di cinque chilometri quadrati. Ciascuna di queste bombe, una volta toccata, esplodeva proiettando trenta granuli d’acciaio simili a proiettili, in grado di uccidere chiunque si trovasse nel raggio di venti metri. Ancora oggi, a distanza di quarant’anni dalla fine dei bombardamenti, nella provincia di Xieng Khuang mediamente una persona al giorno perde la vita.
La principale attrattiva di Vang Vieng è costituita dal suggestivo paesaggio che la circonda: gallerie, grotte inesplorate, pareti calcaree e il fiume Nam Xong che costeggia la città. Tuttavia, la bellezza naturale della zona negli ultimi anni è stata un po’ oscurata dalla quantità di droga che circola. Oppio, marijuana e metanfetamine abbondano nei festini con la musica a tutto volume che si protraggono fino a notte inoltrata nei locali del centro. Farsi sorprendere dalla polizia in possesso di sostanze stupefacenti può costare molto caro. I gendarmi sono molto severi e le multe salate possono arrivare anche a cinquecento dollari. E’ molto sconsigliato fare uso di oppio mischiandolo con succo di lime. Il micidiale cocktail può provocare anche la morte.
Nei menù dei ristoranti di Vang Vieng vengono proposte pietanze di ogni genere. Bisogna solo fare attenzione alle versioni “happy” vale a dire con aggiunta di marijuana o di oppio. Non si finisce mai di “imparare” a questo mondo.
Stiamo seguendo da più di un’ora nel folto della boscaglia una specie di pista nel greto di un fiume in secca in cerca di una grotta. Non ci sono indicazioni. Grazie a una giovane ragazza e a una piccola mancia troviamo l’entrata della grotta. Il pertugio, non più grande di un metro di diametro, conduce in una serie di grotte buie e scivolose. In una di queste c’è una graziosa e molto venerata statua del Buddha.
Rientriamo a Vang Vieng. Ci attende l’ultima tappa di questo viaggio. I trecento chilometri che ci separano dalla capitale del Laos.
Vientiane, la città del legno di sandalo, situata in un ansa del fiume Mekong, visto il resto del paese, non poteva che essere molto tranquilla.
Una mescolanza di stili architettonici di influenze laotiane, thailandesi, francesi, cinesi e sovietiche.
Visitiamo lo straordinario tempio Wat Si Saket con le sue seimilaquattrocento raffigurazioni del Buddha, il Pha That Luang che rappresenta il simbolo della religione buddhista e della sovranità del Laos considerato il più importante monumento del paese e il Parco dei Buddha che dista ventiquattro chilometri da Vientiane, facilmente raggiungibile con le nostre motociclette.
Ripartiamo per Bangkok. Alle quattro e mezza del mattino, due ore prima del decollo ci presentiamo all’aeroporto di Vientiane, che è ancora chiuso. Ad un certo punto una guardia assonnata e stanca di vederci in piedi sul piazzale deserto ci apre la porta della gelida aerostazione gremita, nonostante l’aria condizionata, di zanzare fameliche. Decolliamo. Bangkok ancora una volta incrocia il mio destino. Abbiamo ancora un giorno da spendere a contatto con il popolo gentile che vive in questa magica città prima di rientrare in Italia.
C’è il tempo per una rapida visita al Grande Palazzo Reale, la residenza ufficiale dei re di Thailandia, dove giganteschi Demoni sorvegliano gli sciami dei turisti che si accalcano per ammirare il Tempio del Buddha di Smeraldo ed esprimere un desiderio con un’offerta al vicino Buddha Disteso, la più grande e maestosa statua del Buddha in Thailandia.
Sono sempre più convinto di quanto sia importante avere un atteggiamento educato e cordiale nei confronti delle persone che ci circondano. Noi siamo sempre responsabili con le nostre azioni, anche con il più piccolo gesto, dell’immagine che lasciamo ad un “viaggiatore” del paese in cui viviamo. In Laos e in Thailandia non c’è stato mai un momento in cui non mi sia sentito circondato dalla gentilezza, educazione, grazia, bellezza e serenità della gente. E’ bastato un sorriso sincero, un semplice inchino a mani giunte e un “Sabaidee” per superare l’incomprensione di una lingua e di un mondo a noi così lontani.