Dal mio libro: Le Moto Raccontano
Marocco, dicembre 1998 – 1999
Sono le sei di mattina del 24 dicembre, notte nera, volta stellata delle grandi occasioni, temperatura abbondantemente sotto lo zero. Salah-al-din ha montato sul manubrio i “manopoloni” vale a dire quella coppia di accessori un po’ antidiluviani che coprono e proteggono con una specie di involucro in cordura le mie manopole, le leve e le mani del Feroce Saladino. Siamo diretti in Marocco ed io sono la mitica BMW R80 GS Paris/Dakar del 1986, anche se tutti ormai mi chiamano “Frullatore”. Imbocchiamo il casello della tangenziale Ovest di Milano che c’è, ma non si vede tanto è avvolto nella fitta nebbia e, mentre Tawil sta armeggiando con il portafogli per il pagamento del pedaggio, l’addetto della compagnia autostradale, non crede ai propri occhi e muove lentamente la testa in orizzontale come a dire: “Di pazzi al mondo ce ne sono tanti, ma questo qua li batte tutti”. I matti sono due, c’è anche Paolo, conosciuto sulla nave che ci ha riportati in patria dall’ultimo viaggio in Iran, che è partito alle cinque da Padova. Mentre Salah-al-din cerca di scongelare davanti a un caffè bollente, il motociclista veneto entra trionfante nell’area di parcheggio di Ovada, dove i giovani centauri avevano appuntamento. Paolo, ridotto a un ghiacciolo, non riesce a dire una parola in fila all’altra senza battere fragorosamente i denti. Superiamo il Passo del Turchino sotto un pallido sole tra le ali di neve caduta pochi giorni fa ed ammucchiata ai bordi della strada dai mezzi di sgombero. La temperatura di Genova è quasi afosa paragonata al polo Nord da cui proveniamo, ma un termometro ci ricorda che ci sono solo nove gradi sopra lo zero. Man mano che avanziamo, abbiamo la conferma di come la Liguria sia un vero miracolo di microclima mite. A Sanremo l’aria profuma di rose e anche la Costa Azzurra è un’oasi felice al riparo dal gelo Siberiano. A Marsiglia il cielo si copre di una coltre grigia e densa che non lascia molte speranze. La pioggia fitta e gelida ci investe per tutta la Languedoca. A mezzogiorno facciamo la sosta per il pranzo in un autogrill. Salah-al-din e Paolo smontano ed entrano al ristorante imbottiti come due orsi polari. Il luogo è gremito di camionisti e famiglie con bambini, cani e nonne. La porta automatica si spalanca. I due “orsi” entrano, casco in testa, zuppi e fumanti di pioggia. Nel locale il tempo sembra essersi fermato come quando la banda di Jessy James entrava in una banca per ripulirla. Prima che le forchette si muovano, le bocche si chiudano, i bambini riprendano fiato e i cani scodinzolino passano alcuni secondi. E’ il tempo necessario ai due “banditi” per togliersi il casco, poi mostrati i visi pallidi, la vita riprende a scorrere nel ristorante dell’autogrill. La pioggia e il freddo ci accompagnano fino alla frontiera tra la Francia e la Spagna. La Jonquera, appena fuori l’autostrada, è una cittadina interessante con un vero centro storico ed è il luogo ideale per passare la notte. Il piccolo ma confortevole hotel offre ai due centauri infreddoliti un’ottima cena, una stanza calda e un parcheggio sicuro per Noi moto dell’Elica bianco azzurra. In Spagna alle sei di mattina è buio come in Italia, in compenso il freddo ancora più pungente ci accompagna fino alla periferia di Barcelona. Superata la grande città catalana e Tarragona, le condizioni meteorologiche cambiano completamente. All’inizio un caldo tepore consente ai due Impavidi Cavalieri di togliersi finalmente di dosso le tute antipioggia di nylon, poi nei pressi di Valencia verso le due del pomeriggio la temperatura aumenta fino a superare abbondantemente i venti gradi. Una bella differenza! Presi dall’euforia estiva i due viaggiano spediti come frecce scagliate contro il sole. In discesa il Feroce Saladino che finora non aveva mai superato i cento chilometri orari spalanca il gas fino a raggiungere l’impressionante velocità di centoventi orari. Succede tutto in un attimo. Da centoventi scendiamo a cento, novanta, ottanta, settanta, poi in caduta libera fino a cinquanta. “Rallentano” starà pensando Paolo che ci supera di slancio, ma Salah-al-din non sta rallentando, anzi apre continuamente il gas, sono io che perdo i colpi. Percorriamo circa quattro chilometri a singhiozzo, poi la sosta in una stazione di servizio è obbligata. La mente umana in questi frangenti diventa fragile come un sottile strato di ghiaccio calpestato da una mandria di elefanti. E’ panico! I due centauri non sono esperti in meccanica. Da una rapida occhiata al motore Paolo e Saladino hanno compreso che il problema deve dipendere dal carburatore. “Sarà di sicuro la membrana del Bing” dice Paolo. “Se così è, il mio viaggio finisce qui” risponde Salah-al-din. “Potrei chiamare il capo meccanico del concessionario BMW di Vicenza” replica il padovano. “Ok” annuisce Tawil. “Pronto, ciao sono Paolo, chiamo da Valencia, abbiamo un problema con una vecchia bicilindrica (io), perde colpi, sembrerebbe un problema di carburazione”. “E’ Natale, sono a tavola con la mia famiglia. La prima cosa che devi fare, se hai gli stivali ai piedi, è quella di dare un paio di calcioni ai due carburatori. Potrebbero essere i galleggianti che si sono bloccati. Capita spesso alle moto dopo mesi di inattività. In bocca al lupo e… Buon Natale”. Salah-al-din non crede alle proprie orecchie. Prendermi a calci? Nooo! Mi ama troppo per… arrivano due bottarelle sui miei Bing, poi le due vaschette vengono smontate e i galleggianti controllati. Ripartiamo! Il motore sale di giri. Aumenta la velocità. Il problema è stato risolto. Dopo più di millecento chilometri, quando il sole è già sprofondato nella notte da due ore, raggiungiamo il Sud della Spagna e facciamo sosta per la notte in un ricovero per camionisti. La cosa bella di questi alloggi “Camioneros” sta nel fatto che la cucina è aperta ventiquattro ore su ventiquattro; le camere, anche se minute, sono pulite, silenziose, economiche e offrono un degno riparo ai Nostri Cavalieri, mentre noi “kammellone Teutoniche” riposiamo guardate a vista davanti alla vetrina del ristorante. Il traghetto parte da Algesiras alle dieci e mezza in punto. Il mare, complice un forte vento è assai agitato. Io, alla prima vera ondata, cado a terra, seguita da tutte le altre moto parcheggiate nella stiva della nave. I danni per alcune delle due ruote sono ingenti, mentre io me la cavo con il telaietto delle borse posteriori spezzato in due. Usciamo dalla stiva con una delle borse legata con una corda, ma tutto sommato poteva andare anche molto peggio. Alla dogana di Ceuta un gendarme chiede serio ai due centauri: “Lieu de destination?” “Desert” rispondono in coro i due Italici Cavalieri. “Desert?” ripete il militare trattenendo a stento una sonora risata. “Bienvenu in Marocc”. Il Marocco è stato flagellato dalla pioggia che ha reso alcune strade impraticabili, ma i Nostri Centauri sono nati con la camicia perché il peggio è passato e le difficoltà che incontreranno saranno limitate a qualche strada allagata e a piccole frane. Dichiarare come luogo di destinazione il deserto non era solo una battuta per fare colpo sui militari della dogana. Siamo diretti proprio nel profondo Sud. L’intento è quello di arrivare alla grande duna di Merzouga per l’ultimo giorno dell’anno e il trentuno di dicembre, puntuali come cronografi svizzeri, siamo “alloggiati” in una “posada” gestita da una coppia di spagnoli proprio davanti alla duna di sabbia più alta e più famosa del Marocco. La cena di San Silvestro è un ottimo cous cous di montone che servirà come nutrimento per dare la forza ai Nostri Cavalieri di scalare all’alba del primo giorno dell’anno la famigerata duna di sabbia. I Nostri guadagneranno la vetta proprio un attimo prima dello spuntar del sole e divideranno lo spettacolo con un formidabile, elegante, gigantesco e docile cane doberman sbucato da chissà dove. La pista che conduce verso Rissani è facile, la stessa cosa non si può dire per i cento chilometri che conducono attraverso il deserto prima ad Alni, poi a Tazzarine e a Nkob. La pista migliora fino a Tansikfit, dove ritroviamo l’asfalto che ci accompagna lungo la valle del Draa fino a Zagora. La città, anche se famosa, è di recente costruzione e risale al periodo del colonialismo francese. L’oasi tuttavia è abitata da sempre ed è da qui che i Saaditi iniziarono la conquista del Marocco nel XVI secolo. A Zagora c’è forse il cartello più famoso di tutto il Marocco. “Timbuctu 52 giorni” era il tempo di percorrenza di una carovana di cammelli dal villaggio marocchino alla mitica antica città del Mali. Raggiungiamo Foum-Zguid giusto in tempo per concedere ai Nostri esausti Cavalieri un bagno caldo nell’hamman riservato agli uomini. L’albergo, l’unico del villaggio è nella piazza principale a due passi dal bagno pubblico, molto folcloristico offre camere semplici, polverose e profumate di un distillato di caprone. Un attimo prima di essere abbandonate al nostro destino nel parcheggio davanti all’albergo, un individuo avvolto nel tradizionale burnuss invernale che lo rende simile a un diavolo avvicina Paolo e il Feroce Saladino. “La piazza non è sicura, ma se volete per pochi dirham mi trasferisco con la mia branda vicino alle vostre moto. Con me potete dormire tranquilli”. Assunto per causa di forza maggiore, sarà il nostro angelo custode per tutta la lunga notte marocchina. Ci spostiamo verso la costa Atlantica per incontrare una coppia di amici di Paolo che stanno viaggiando su un’automobile in Marocco. L’appuntamento con la coppia di Padova è a Tiznit, dove scoppia un violento temporale che ci costringe a cambiare direzione. Tafraout dista un centinaio di chilometri. All’inizio la strada attraversa una dolce campagna coltivata, poi da Assaka sale sulle colorate montagne dalle sfumature verdi, rosse e marrone. Sul Col de Kerdous inizia a piovere e, vista l’altitudine di mille e cento metri sul livello del mare, fa freddo. L’albergo, gestito da un signore anziano che ci accoglie sdraiato sul letto e sepolto sotto numerose coperte di lana, non ha né il riscaldamento né l’acqua calda. La cena viene servita nell’unico locale aperto del paese dove oltre alle squisite tajine il gruppo di italiani deve sopportare anche il frastuono dei tamburi di un gruppo folcloristico che non scalda l’ambiente umido e freddo. Tawil accusa le fatiche della giornata e ha la febbre, ma potrei scommettere sulle teste dei miei cilindri che domani mattina sarà di nuovo in forma. Il sole splende nel cielo blu cobalto del Marocco e rallegra il cuore di Salah-al-din completamente ristabilito. Il paesaggio già di per sé notevole si incendia di colori. La strada attraversa la metà orientale della valle di Ameln, valica il passo Tizi Mlil, poi a Ovest verso Agadir. Il terreno adesso è più pianeggiante e punteggiato di numerosi villaggi. Superiamo Ait Baha e ci rendiamo conto che non vale la pena di arrivare fino ad Agadir. Per questo motivo al bivio di Imi-Mqourn prendiamo direttamente la direzione di Taroudant. Le imponenti mura rosse della città scelta come capitale dai Saaditi nel XVI secolo per più di vent’anni ci fanno sentire piccoli come microbi. La medina invece è molto contenuta e caratterizzata da numerosi negozi di articoli di antiquariato e gioielli berberi. Gli alberghi migliori sono tutti nel cuore della città ed è in uno di questi che i due centauri trascorreranno la notte prima del grande balzo verso Marrakech. Per raggiungere la più famosa città del Marocco seguiamo la strada più breve, ma più impegnativa verso i duemila e cento metri del passo Tizi-n-Test. Arrivati in cima troviamo con sorpresa una spruzzata di neve fresca caduta durante la notte sul versante Nord che mette in difficoltà le due ruote che come noi montano gomme tassellate. Superiamo anche il villaggio di Asni che non offre niente oltre a qualche finto autostoppista che con la scusa di chiedere un passaggio non potrà trattenersi dal proporre un negozio di souvenir, per puntare direttamente verso la mitica piazza Djemaa el-Fna nel cuore di Marrakech. Per Paolo e Tawil, che hanno visitato questa città sempre d’estate, la piazza degli “Impiccati” sotto la bassa temperatura serale è una bella novità. Non è cambiato invece il folclore locale delle bancarelle, saltimbanchi, finti maghi e non, veggenti e venditori di ogni genere che impazzano dall’imbrunire fino a tarda notte in questa magica piazza. Il viaggio è quasi giunto al termine. Abbiamo solo tre giorni per divorare i tremila chilometri che ci separano dal Bel Paese. La prima di queste tappe rischia di trasformarsi in una trappola sulla nebbiosa e gelida autostrada che da Casablanca conduce fino a Tangeri. Per fortuna con il passare delle ore la fitta nebbia lascia il posto ai caldi raggi del sole marocchino. Riusciamo ad imbarcarci al volo sul traghetto per Algeciras e volare a velocità supersonica fino a Malaga aiutati molto dalla temperatura mite della Spagna del Sud. Alle dieci della notte però il destino ci riserva un’amara sorpresa. Paolo lanciato con la sua BMW a centoventi chilometri orari imposta la veloce curva rallentando un pochino prima di entrare in una galleria. In uscita riapre il gas, ma la moto sbanda paurosamente con la gomma posteriore che si sta afflosciando. Ci fermiamo un centinaio di metri fuori dal tunnel. Nel pneumatico posteriore ci sono almeno un paio di squarci. Riparare una gomma di notte in autostrada con le auto che sfrecciano veloci a dieci centimetri dalle tue orecchie è un suicidio. Paolo e Tawil escono dall’autostrada seguendo una rampa di accesso contromano. L’operazione di solito, oltre ad essere pericolosa è punita dalla legge con il ritiro della patente, ma tutto sommato, vista l’ora e la rampa deserta, la scelta azzardata dei due ci porta fuori dai guai. La BMW di Paolo ormai appoggia il posteriore sul cerchio. Per fortuna un passante in automobile si ferma per dare una mano ai due centauri. Abbandoniamo la BMW al sicuro in un benzinaio aperto per tutta la notte e ci dirigiamo verso la casa dello spagnolo che per puro caso affitta anche le camere. Le operazioni per la riparazione “fai da te” del pneumatico durano alcune ore e necessitano di due chiodi per turare i due buchi enormi, ma il viaggio può riprendere. La Jonquera è un ottimo posto per dormire anche sulla via del ritorno, poi non ci rimane che lo shock termico appena superato il Turchino. Le valli Piemontesi e Lombarde nel mese di gennaio sono un vero e proprio incubo per chi ha percorso più di ottomila chilometri e rientra sperando nella clemenza del tempo. E’ la nebbia che la fa da padrona e il freddo naturalmente che fanno desiderare ai due centauri una bella doccia bollente. Paolo e Tawil si separano alla “solita” area di ristoro di Ovada sull’autostrada Genova Milano, ormai allo stremo delle forze. Un viaggio in Marocco in inverno non è una cosa da prendere alla leggera. Si può fare fintanto che si abbia dentro il demone della pazzia, la spensierata giovinezza e la voglia di andare in moto. Un viaggio difficile ed impegnativo come questo è unico ed irripetibile. Ne passerà di acqua sotto i ponti prima di intraprendere ancora una volta un’esperienza come questa… ma allora come mai i due centauri hanno già in mente un nuovo viaggio in Marocco per il prossimo Natale?