Dal mio libro: Le Moto Raccontano
Israele/Egitto, agosto 1999
Per questa nuova avventura in Nord Africa il Feroce Saladino ha deciso di apportare alla sottoscritta, la mitica R 80 GS Paris/Dakar del 1986 qualche “leggera” modifica. Tutte le parti originali come il serbatoio di lamiera da trenta litri bianco rosso e blu, la doppia sella rossa, i parafanghi bianchi, il contagiri, il contachilometri e le relative spie luminose, sono state rimosse e accuratamente messe da parte, per far posto ad un enorme serbatoio in nylon da 41 litri, nuovi parafanghi, una sella nera molto simile a un trampolino di salto con gli sci, una strumentazione elettronica da far invidia a un vero Rally Paris/Dakar, e un nuovo ammortizzatore Ohlins che ha preso il posto dell’antiquato ed esausto “mono” originale. Tutto è pronto. Anzi no! Tawil deve solo decidere la colorazione. Scartate tutte le tinte originali e brillanti come il rosso, il blu e il bianco troppo normali e poco indicate ai raid Africani, Salah-al-din ha pensato in un primo momento alla tinta mimetica dell’Africa Korps, poi, vista la colorazione effettivamente troppo militareggiante, ha deciso per un beige pallido, ma, fatta una prova pratica, il tutto risultava molto triste e scialbo, allora ha aggiunto all’impasto un superbo giallo canarino. La risultante è una tinta opaca giallastra tipo “Motore Caterpillar” che ricorda vagamente la sabbia del deserto. Armando, l’amico carrozziere, che si era adoperato perché l’esperimento riuscisse alla perfezione, aveva commentato: “Mai prima d’ora avevo visto niente di simile. Sei sicuro di volere una moto di questo colore? Mi sembra un po’ bruttina!” Tawil aveva sorriso soddisfatto. Ora poteva finalmente annunciare al mondo di essere in possesso di un modello “unico”.
La nuova Crociata Africana è composta da altre due motociclette: una veloce nuovissima BMW R 1100 GS e una vecchia Honda Africa Twin. La partenza invece, non proprio a razzo, effettuata da Bari per mezzo di una vecchia bagnarola alla soglia della pensione stracolma di turisti diretta ad Haifa in Israele via Cesme in Turchia. Oltretutto Paolo, camionista, motociclista, amico padovano, conosciuto durante i viaggi in Iran e Marocco, la sera precedente la partenza, aveva lavato insieme ad un vecchio zaino anche il passaporto rendendolo inservibile e, dopo averne ritirato uno nuovo la mattina successiva in questura, si era dovuto fare da Padova a Bari in apnea proprio il giorno del grande esodo dei vacanzieri dello stivale battendo il record della “pista” autostradale impiegando meno di cinque ore. Gli altri due componenti del gruppo sono una coppia di padovani: Enrico e Cristina in sella alla loro Honda Africa Twin.
Tutti mi hanno ribattezzata, visto il mio nuovo colore, “Sabbietta”. Il “Vecchio Frullatore” non esiste più, per ora. Nella stiva della nave faccio la conoscenza con le numerose moto parcheggiate nell’oscurità. La maggior parte di loro è diretta in Turchia. Mi colpisce una mia simile, una “vecchia” R 80 GS che ha percorso più di centomila chilometri per lo più in Europa. Molto bizzarra anche la Sua Giovane Proprietaria diretta in Israele, alta, robusta e dai capelli completamente rasati. Veste un’attillata tuta di pelle nera e sta approfittando della sosta della nave a Cesme, in Turchia per fare la regolazione delle valvole della mia sorella di fabbricazione tedesca immersa nei quaranta gradi della bollente stiva della nave. Per niente intimorita dalla caldana, non suda nemmeno, è diretta in un Kibbuz israeliano per un periodo di tre mesi. Sulla nave ha un posto ponte e si cucina tutto con un minuscolo fornello da campeggio e di tanto in tanto offre succose fette di melone tagliate con il coltello. La cosa curiosa è che tra una fetta e l’altra da una bella leccata alla lama lasciando esterrefatti tutti i suoi “vicini”. Sbarchiamo ad Haifa. I doganieri Israeliani stanno facendo il terzo grado a tutti. Pur con gentilezza stanno chiedendo cose apparentemente assurde tipo: “Come si chiama il meccanico che ha fatto manutenzione alla moto?” oppure: “Hai detto a qualcuno che venivi in vacanza in Israele?” Tutti sono interrogati separatamente dagli investigatori che, ultimate le domande si sono riuniti per controllare la veridicità delle risposte. Tre ore dopo, finalmente entriamo nel paese. La prima impressione delle forze dell’ordine è di massima efficienza. Lungo la strada abbiamo incontrato alcuni posti di blocco: carri armati su cui troneggiano numerose mitragliatrici che incutono timore, ma anche professionalità. Le strade sono buone, l’asfalto è perfetto ed è molto divertente percorrere chilometri e chilometri di saliscendi, fino alle magiche antiche mura di Gerusalemme.
Gerusalemme in ebraico significa ascolta, mentre in arabo “la (città) santa”. Fu già capitale ebraica tra il X e il VI secolo a.C. antichissima di grande importanza storica e geopolitica nonché unica città santa per due delle tre principali religioni monoteistiche (Ebraismo e Cristianesimo) e terza città santa in ordine d’importanza, dopo la Mecca e Medina, per l’Islam. La città è sacra per gli ebrei, in quanto storico simbolo della patria ebraica, luogo dove fu eretto il tempio di Gerusalemme (l’edificio sacro più importante per la religione ebraica), nonché capitale del Regno di Giuda e Israele dal 1000 a.C. circa e del Regno di Giuda dal 933 a.C. al 597 a.C.; allo stesso modo sacra per i cristiani poiché luogo in cui Gesù Cristo ha vissuto e sofferto gli ultimi momenti della propria vita terrena, è stato sepolto e poi, secondo i cristiani, è risorto; altrettanto sacra per i musulmani in quanto essi sostengono che Maometto vi sia giunto al termine d’un miracoloso viaggio notturno per ascendere poi al cielo pur rimanendo vivo. Dunque Gerusalemme è da considerarsi uno dei luoghi più affascinanti e ricchi di storia del mondo. Il fatto stesso che un’unica città sia “sospesa” tra le tre più grandi religioni monoteiste del pianeta è un evento assolutamente straordinario. Gerusalemme in poche parole è luogo simbolo dei più sottili equilibri teologici, religiosi e sociali tra occidente e medio oriente intesi come macro entità culturali. La grandissima importanza storica di Gerusalemme, la rende una delle città più interessanti dal punto di vista dei luoghi storicamente rilevanti. La concentrazione maggiore di siti storici e religiosi ha sede nella Città Vecchia, Patrimonio dell’Umanità dal 1981 circondata dalle mura costruite nel 1538 durante il regno del sultano ottomano Solimano I il Magnifico. Numerosi sono i monumenti di Gerusalemme, tra questi: la moschea islamica della Cupola della Roccia, che rappresenta il simbolo della città, costruita in età omayyade sul luogo che, secondo il Corano, è quello da cui il profeta islamico Maometto ascese da vivo al Cielo per grazia divina; il secondo è la basilica cristiana del Santo Sepolcro, costruita su una preesistente basilica del IV secolo, a sua volta eretta sul luogo tradizionalmente considerato la tomba di Cristo; il terzo è l’emblematico Muro occidentale o Muro del Pianto, luogo sacro per eccellenza degli ebrei, residuo del Tempio costruito da Erode il Grande, re di Giudea.
Il gruppo italico alloggia in un albergo dentro la città vecchia, mentre noi moto finiamo parcheggiate in bella mostra nella piazza adiacente l’hotel. A tutte le ore del giorno e della notte c’è gente che passa: arabi, ebrei, palestinesi e tantissimi militari. Lasciamo la città santa e ci dirigiamo verso il Mar Morto che in questa stagione è quasi invivibile con i suoi 45 gradi di temperatura, l’umidità alle stelle e i miliardi di mosche! Arriviamo a Eilat accolti dal vento caldo e teso del deserto e dai numerosi turisti che affollano le centinaia di alberghi di lusso affacciati sulla spiaggia. Prima di attraversare il confine con l’Egitto tentiamo anche di attraversare il confine con la Giordania. L’intenzione è di visitare Petra, che dista solo centosessanta chilometri da Eilat. I doganieri giordani però sono inflessibili e sottolineano che l’entrata in Giordania è vietata sia alle moto che alle biciclette. Roba da matti. In compenso le pratiche alla dogana egiziana, anche se ci fanno perdere un sacco di tempo, sono molto divertenti. Al primo controllo “armato” sul territorio, quattro militari in T-shirt hawaiana, muniti di fucili mitragliatori tenuti assieme dal filo di ferro, sbucano all’improvviso da dietro alcuni bidoni di benzina e “cortesemente” chiedono duecento dollari di “pizzo” a testa. Le discussioni sono concitate, ma alla fine Salah-al-din e compagni pagano cinque miseri dollari a testa. Poco per i cittadini europei, tantissimo per le guardie egiziane che salutano gli italiani con soddisfazione. Stiamo attraversando una bella zona desertica di chilometri e chilometri di sabbia multicolore. La zona tristemente famosa per gli scontri nella guerra dei sei giorni tra Egitto e Israele è un’area ricca di montagne rocciose e bellissime baie che si alternano fino alla penisola del Sinai. Facciamo una sosta nei pressi del monastero di Santa Caterina. Poche ore di riposo sui letti a castello dell’ostello prima della sveglia alle due di notte per l’arrampicata sul Monte Sinai. La scalata, un vero e proprio atto di fede che centinaia di pellegrini di ogni età effettuano almeno una volta nella vita. Un percorso faticoso ampiamente ripagato dallo straordinario spettacolo che si gode dalla cima del monte al sorgere del sole. Il gruppo dopo aver raggiunto il monastero, riparte immediatamente per Suez e si ferma per la notte a Za’ Farana, un villaggio lungo la costa del Mar Rosso. Troviamo miracolosamente un alberghino affacciato sul mare. Le camere enormi e torride sono molto originali. I letti al centro della stanza sono costruiti su basamenti in cemento e i materassi in gomma piuma sono talmente sottili che è praticamente impossibile per i nostri ragazzi prendere sonno. Oltretutto, l’acqua latita completamente dai bagni e “un pescatore di tonni” travestito da idraulico sta armeggiando da ore con martello e pappagallo nella stanza da bagno senza riuscire nell’impresa di far “sorgere” l’acqua. In compenso le pesanti martellate si possono sentire anche sulla costa giordana distante un centinaio di chilometri e la camera si sta trasformando in una sorta di fucina delle acciaierie di Piombino. Solo a notte fonda il Feroce Saladino e compagni riusciranno a prendere sonno. La mattina seguente ripartiamo seguendo la costa fino a Marsa Alam, poi attraversiamo una zona desertica di duecentotrenta chilometri verso la fertile valle del Nilo. Il primo sito archeologico di pregio che incontriamo è lo splendido tempio di Horus nel villaggio di Idfu. Un luogo di rara bellezza e in uno stato di conservazione perfetta. Dopo la sosta proseguiamo per altri duecento chilometri fino ad Aswan. A novecento chilometri dal Cairo, Aswan (o Assuan) è la ridente e pittoresca capitale dell’Alto Egitto. In questa città, situata alle porte della Nubia, si possono ammirare, fianco a fianco, le ricchezze dell’Antico Egitto e le opere più gigantesche che il genere umano abbia potuto realizzare nei tempi moderni. Da una parte le celebri cave di granito che servivano a costruire i templi, le statue e i monumenti; dall’altra le enormi dimensioni della grande diga. Aswan era l’antica Syene dei Greci. In epoca faraonica e godette dei privilegi di una posizione invidiabile per le ricchezze (ebano, avorio e schiavi) provenienti dalla Nubia. Imperdibile anche l’isola Elefantina, visitabile in feluca, la caratteristica imbarcazione del Nilo, in tutte le sue bellezze naturali e storiche. Lasciamo la città alle prime luci dell’alba dopo aver salutato i militari armati di Kalashnikov che hanno montato la guardia alle moto davanti all’albergo per tutta la notte. Le rocce e la sabbia che fiancheggiano il Nilo illuminate dai primi raggi del sole luccicano come pietre preziose. L’idea di Tawil è quella di arrivare ad Abu Simbel, distante trecentocinquanta chilometri, con le motociclette, ma appena fuori città un posto di blocco militare ci blocca la strada. “La strada che conduce al sito di Abu Simbel non è percorribile per questioni di sicurezza” dicono i militari. Francamente trovo improbabile che questa strada completamente in mezzo al deserto sia infestata dai terroristi. E’ molto probabile, invece, che sia una furba manovra governativa per obbligare i turisti a prendere un comodo, ma non proprio economico volo aereo. Salah-al-din e compagni protestano per qualche minuto con le forze dell’ordine egiziane, ma alla fine rinunciano alla cavalcata in moto a favore dell’aereo. Rientrano due giorni dopo soddisfatti. Ripartiamo verso Nord. Arriviamo a Luxor prima del tramonto e pernottiamo in un modesto albergo pattugliato giorno e notte dai soliti militari armati di tutto punto. Di notte succede un fatto curioso: un gatto gigante dal pelo arruffato scambia la mia sella di pelle nera per una comoda brandina per passare la notte e per affilare i suoi artigli. Il risultato? La sella è ridotta a un colabrodo.
Luxor nel corso della storia ha avuto molti nomi, ma quello più comunemente usato è di origine greca: Tebe. Il nome egizio della città era Waset, derivato da was, scettro, simbolo del potere divino degli dei. Dal Regno Medio in poi, Tebe, una delle città principali d’Egitto, divenne una delle più importanti residenze dei faraoni e luogo di sepoltura dei re dalla undicesima alla diciassettesima Dinastia. Tebe vide le sue fortune fiorire lungo le sponde del Nilo, il grande fiume sacro cui deve tanto la storia d’Egitto. Luxor (in arabo el-Uqsur, i Palazzi) è una città che vive del ricordo e dei tesori lasciati da questa antica civiltà che proprio lungo queste sponde ha costruito alcuni edifici tra i più belli di tutto il pianeta. Le opposte sponde del Nilo avevano un preciso significato nella civiltà di Tebe: la sponda orientale, quella che vedeva il sorgere del sole era dedicata al culto di Amon, che veniva assimilato a Ra il dio Sole, mentre la sponda occidentale assimilava il quotidiano tramontare del sole al culto dell’aldilà, identificando la terra dei defunti e delle relative tombe.
Dopo tre giorni di sosta, non posso più dare corrente alle mie bobine per colpa del relè dell’accensione che ha dato forfait e Salah-al-din ha la grave colpa di non averne uno di scorta. Posso solo partire a spinta, ma spingere un vecchio bicilindrico non è uno scherzo. Tutto il gruppo, donne comprese, deve unire le forze e spingermi finché il Feroce Saladino urla: “contatto”. A questo punto non mi rimane che mettermi in moto tra gli sbuffi del mio scarico e l’ilarità dei presenti. I Nostri Ragazzi salutano i quattro simpatici e socievoli militari di guardia. Partiamo per il Cairo. Percorsi pochi chilometri in mezzo al solito traffico di camion, biciclette, carretti a mano, persone e animali di tutti i tipi, una nuova postazione militare ci sbarra la strada: “La strada da Luxor ad Asyut è molto pericolosa” commenta un gendarme e “Obbligatorio viaggiare in convoglio”. Il convoglio è guidato da una jeep con militari a bordo, che viaggia a trenta chilometri orari. Dietro, a distanza ravvicinata, Noi, le moto e due autobus carichi di turisti. Chiude un’altra jeep zeppa di mitragliatrici. I chilometri scorrono lenti ed impieghiamo più di tre ore per avanzare di cento chilometri. All’ennesimo posto di controllo i due autobus prendono una direzione diversa dalla nostra mentre noi facciamo una sosta forzata in una caserma protetta dai sacchi di sabbia in attesa di un nuovo convoglio. Il luogo, in aperta campagna, fa una certa impressione con le quattro torrette armate di pesanti mitragliatrici che proteggono l’area e tutti i militari in un evidente stato di allerta. Ad un certo punto arriva un tipo molto bizzarro. Nonostante l’aspetto poco raccomandabile, Salah-al-din scopre che si tratta di un ufficiale in borghese. Il Tizio oltre che simpatico è anche appassionato di moto. Tawil nota che dalla cintura del militare spunta una pistola automatica “tecnologica” nuova di fabbrica. “E’ una Glock?” chiede Tawil. L’uomo senza batter ciglio dopo aver estratto dalla cintola la pistola, e tolto il caricatore, prima di allontanarsi, la consegna al Feroce Saladino. Tawil ed io siamo rimasti soli in mezzo al cortile armati di pistola. Passano una decina di minuti prima del ritorno dell’ufficiale. Siamo sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici e… siamo armati. Finalmente ritorna l’ufficiale e ci toglie dal pericoloso imbarazzo. Il militare dopo avere recuperato l’arma e concesso il lasciapassare al nostro gruppo aggiunge: “OK amico mio, mi riprendo la mia Glock. Potete ripartire e non vi preoccupate per la scorta. Ho provveduto ad affidarvi un mezzo molto veloce. Asyut è il covo del terrorismo in Egitto. State molto attenti”. Ripartiamo. Salah-al-din chiude il gruppo. Dietro di noi c’è solo il “mezzo blindato” zeppo di soldati. Largo come un carro armato, al posto dei cingoli ha gomme enormi e in sostituzione del cannone ha una mitragliatrice pesante. Il pilota è incastrato nell’angolo di destra e la sua testa sbuca fuori da una specie di tombino. Ha la faccia simpatica, sorride sempre ed incita i nostri ad un’andatura sostenuta. Di tanto in tanto la comitiva raggiunge anche velocità di punta prossime ai novanta chilometri orari. Stiamo attraversando dei villaggi microscopici lungo il maestoso Nilo ed è divertente vedere la faccia sorpresa della gente mentre l’allegra comitiva si fa strada tra greggi di capre, spaventatissimi polli e cani ciondolanti. Raggiungiamo Asyut nel tardo pomeriggio. Fa un caldo insopportabile. Chiediamo ai militari se è possibile bere un po’ d’acqua. “Non c’è problema” risponde il comandante del presidio militare “Vi accompagniamo noi”. Tutta la guarnigione ci segue passo dopo passo fino al bar. Ripartiamo seguendo una “Desert road” per la volata finale che ci porterà verso la capitale egiziana, la magnifica città che risponde al nome di “El Qahira” ossia Il Cairo.
La città, una delle più densamente popolate del mondo, viene raggiunta dall’allegra brigata ormai a tarda notte in una bolgia infernale di auto strombazzanti, camion, carretti e capre. Sono le due di notte. Stiamo viaggiando da quasi diciotto ore. Abbiamo superato un numero imprecisato di posti di blocco militari, bevuto litri di coca cola e… solo adesso Tawil e compagni si rendono conto di non aver toccato cibo per tutto il giorno.
Uno dei più rinomati punti di attrazione del centro del Cairo è il Museo Egizio, che vanta la più ricca collezione di reperti egizi oggi al mondo. Tra i suoi tesori ci sono anche i preziosi oggetti appartenenti al re Tutankhamon. Con le sue vie e palazzi che ricordano le fiabe del Mille ed Una Notti, il Cairo islamico ospita un gran numero di templi e moschee, tra cui la moschea di al-Azbar, centro di studio e di insegnamenti islamici da oltre un millennio. Altri luoghi importanti di quest’area sono la cittadella, la moschea di Mohammed e la moschea di Ibn Tulun considerata la più antica della città. Per i Nostri Ragazzi la spedizione Nord Africana si chiude all’ombra delle piramidi di Giza. Le tre piramidi risalgono alla IV dinastia, vale a dire all’Antico Regno. La piramide di Cheope è la più grande e la più antica, ed è anche considerata perfetta sotto il profilo architettonico e statico. Risale al 2500 a.C. circa ed era originariamente alta 146 metri, mentre oggi è solo di 137 metri. La piramide di Chefren, figlio di Cheope, è alta circa 136 metri ed è la meglio conservata, in quanto presenta ancora parte del rivestimento esterno. Infine la piramide di Micerino, figlio di Chefren, è la più piccola (63 metri) ed anche la più recente. A completamento della necropoli ecco delinearsi la sagoma enigmatica e affascinante della Sfinge, la più grande statua in pietra che si conosca (lunga 70 metri e alta 20 metri) con il corpo di leone e il volto umano. Gli arabi l’hanno sempre temuta. La chiamavano “la madre del terrore”. Sentivano che questa gigantesca belva dalla testa umana irradiava una forza pericolosa. Tentarono anche di distruggerla a cannonate mutilandola del naso, ma la sfinge resiste ancora guardiana della piana delle grandi piramidi e della luce che sorge ogni mattina.